sabato 17 maggio 2014

LA GRANDE ILLUSIONE





Sono nato in un paese fra i monti
Alla sera gustavo dal fienile i rosei tramonti
Comparivano fra le rocce  di bianco calcaree
Rocce dalle strane forme appuntite lontane dal mare.

M’incamminavo con stracciati indumenti
Fra i verdeggianti prati e svariati elementi
Percorrevo sentieri in salita
Senza mai sentir alcuna fatica

Attraversavo ruscelli limpidi e non inquinati.
Dove le donne vestite di nero i panni avevano lavati.
I ciottoli piatti, levigati nel tempo dal fiume.
Erano i giochi dall'ora, per tutti i ragazzi in costume.

I calzoni di panno alla zuava
Scarponi di cuoio qualcuno calzava
Ma perlopiù ciabatte di panno con la suola di gomma
Era ciò che la madre in casa cuciva, con tempo e pazienza.
Seduta su una misera panca di legno sollevando da terra.
Per non sporcare l’orlo della sua fiorita gonna.

Ricordo, rincorrevo felice e illuso un  gran sogno
Là sulla vetta vi era un fiore magnifico di cui avevo bisogno.
Era una stella stupenda e vellutata
Una pianta da tutti i montanari molto amata

Le strade di notte erano illuminate
Ma non da lampioni o da lampade o lumi, era la luna
E le stelle che le rendevano lucide, brillanti, come  incantate.
Correvo fra i prati e gli arbusti fra le elevate piante.
Abeti, larici e pini camminavo veloce e pimpante
col passo spedito e alle volte abbracciandone una.

Il profumo d’innumerevoli fiori colorati
Ammiccavano al sole incantati
Ma cercavo il sole più bello il più difficile da afferrare.
Per raccoglierlo, l’alta difficoltosa montagna, dovevo scalare.

Mi arrampicavo sulle rocce segnate dal tempo.
Mi aggrappavo disperato a ogni spuntone contento.
Sembrava sempre che fossi arrivato
E che quel vellutato fiore avessi trovato.

Ma sempre una valanga di secco terriccio misto
a pezzi di pietra, mi rigettava indietro verso valle
e sempre a me stesso dicevo “ no io non desisto”
Sulle taglienti rocce mi afferravo salendo verso l’alto.
Dal cielo osservavo le malghe, i tetti di decrepite stalle.

Le mani sanguinavano come il mio cuore,
per me quel fiore era tutto non era una stella , era amore.
E sempre rotolavo in basso da dove ero partito.
Come se qualcuno inconsciamente mi avesse avvertito.

Finché nel viso e nel corpo sudato,
 Nel volto negli arti e nella mente da molti insuccessi ferito
Mi sdrai stanco nell’erba di muschio profumata.
E da una marea di svariati colori allagata.

Di colpo mi accorsi cosa avevo finora perduto.
Un tappeto di fiori, la vista d’uccelli sui rami appollaiati
La loro danza d’amore ,corteggiamento di piccoli volatili
Dal Creatore da millenni amati un uso e un atto or decaduto.

Un tocco delicato, lo sentii sul dorso della mia mano.
Volsi lo sguardo tremante a una distanza minore di prima.  
In quel tempo guardavo sempre troppo lontano.
Era un piccolo fiore dal colore di viola, appena coperto di brina.

Profumava d’intenso inebriante piacere
Era un  povero piccolo fiore, fra i tanti nei prati sparpagliati.
Come su una soffice coltre di verde color, adagiati.
Aspettavano piangenti che il mio sguardo su di loro si posasse.
Su ciò che i miei occhi fino allora non hanno voluto vedere.

®©  Mario Italo Fucile






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