martedì 6 maggio 2014

LA PANCHINA



Gli occhi fissi nel vuoto, in essi pensieri e ricordi ricorrono,
Lampi improvvisi li illuminano, nuvole oscure li offuscano.

Dorsi di mani macchiate, tremanti e congiunte,
dita intrecciate in preghiera in un gesto implorante.

Le rughe segnano come solchi d’aratro la crosta di aridi campi,
pelle del volto e del collo prosciugata dal sole e dai venti.

Lunghi capelli canuti, fili di seta malamente tessuti dall'età già avanzata,
si rincorrono ormai radi sul capo in un ultimo sospiro di vita.

Una corta e bianca peluria segna ancor fiera il tuo volto,
con le sembianze di un terreno lasciato a lungo incolto.

Seduto sulla panca di legno sotto il castano, rimani in ascolto profondo,
origli, ma non odi il rumore che non turba minimamente il tuo mondo.

Senti il frastuono, dei canti, dei cori, voci melodiche provenienti dal cuore,
suoni di trombe, note stridenti di clavicembali, oppure di viole.

Ti pulisci la bocca, con un lurido pezzo di stoffa con macchie evidenti ,
dell’eccesso di amara saliva, il fiele di una vita di stenti.

Inspiri dalle nari assuefàtte agli odori di un mondo che fù
i profumi inebrianti della lontana tua gioventù.

Profumo di donna , di fieno, di fiori di prato di frutta e di miele,
fragranza di cibo e di pane , odore di legna che arde e di fumo sottile.

Mentre le dita ormai rattrappite, sentono al tatto le rigonfie mammelle,
di pazienti giovenche munte alla luce di lampade e di labili fiammelle.

Ma anche il senso provato, sfiorando con una dolce carezza il corpo adagiato
del figlio tanto agognato, salito poi in cielo, senza neppure un vagito.

Scorrono lacrime sul tuo volto indurito, nelle rughe e sulle magrissime guance,
gocce amare e struggenti di un passato dolore che torna e ritorna senza darti più pace.

Il tuo corpo è solo un’insieme di ossa, di fragili arterie ormai indurite dal tempo,
di pelle di già rinsecchita, di sangue ormai privo di ogni elemento.

Raddrizza la schiena o vecchio, alza il tuo busto allarga le spalle, c'è chi ti ama,
distendi la bocca sdentata e sorridi, il sole ti ammicca , è tuo figlio che chiama.

Và che è giunta ormai l’ora d'andare, ma non girarti più indietro a guardare,
lo sai, non c’è più nulla per cui valga la pena di rimandare.

®© Mario Italo Fucile 






Nessun commento:

Posta un commento