Gli occhi fissi nel vuoto, in essi
pensieri e ricordi ricorrono,
Lampi improvvisi li illuminano,
nuvole oscure li offuscano.
Dorsi di mani macchiate, tremanti e
congiunte,
dita intrecciate in preghiera in un
gesto implorante.
Le rughe segnano come solchi d’aratro
la crosta di aridi campi,
pelle del volto e del collo
prosciugata dal sole e dai venti.
Lunghi capelli canuti, fili di seta
malamente tessuti dall'età già avanzata,
si rincorrono ormai radi sul capo in
un ultimo sospiro di vita.
Una corta e bianca peluria segna
ancor fiera il tuo volto,
con le sembianze di un terreno
lasciato a lungo incolto.
Seduto sulla panca di legno sotto il
castano, rimani in ascolto profondo,
origli, ma non odi il rumore che non
turba minimamente il tuo mondo.
Senti il frastuono, dei canti, dei
cori, voci melodiche provenienti dal cuore,
suoni di trombe, note stridenti di
clavicembali, oppure di viole.
Ti pulisci la bocca, con un lurido
pezzo di stoffa con macchie evidenti ,
dell’eccesso di amara saliva, il
fiele di una vita di stenti.
Inspiri dalle nari assuefàtte agli
odori di un mondo che fù
i profumi inebrianti della lontana
tua gioventù.
Profumo di donna , di fieno, di fiori
di prato di frutta e di miele,
fragranza di cibo e di pane , odore
di legna che arde e di fumo sottile.
Mentre le dita ormai rattrappite,
sentono al tatto le rigonfie mammelle,
di pazienti giovenche munte alla luce
di lampade e di labili fiammelle.
Ma anche il senso provato, sfiorando
con una dolce carezza il corpo adagiato
del figlio tanto agognato, salito poi
in cielo, senza neppure un vagito.
Scorrono lacrime sul tuo volto
indurito, nelle rughe e sulle magrissime guance,
gocce amare e struggenti di un
passato dolore che torna e ritorna senza darti più pace.
Il tuo corpo è solo un’insieme di
ossa, di fragili arterie ormai indurite dal tempo,
di pelle di già rinsecchita, di
sangue ormai privo di ogni elemento.
Raddrizza la schiena o vecchio, alza
il tuo busto allarga le spalle, c'è chi ti ama,
distendi la bocca sdentata e sorridi,
il sole ti ammicca , è tuo figlio che chiama.
Và che è giunta ormai l’ora d'andare,
ma non girarti più indietro a guardare,
lo sai, non c’è più nulla per cui
valga la pena di rimandare.
®© Mario Italo Fucile
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